Il paradiso degli orchi – Daniel Pennac

il paradiso degli orchi

A pochi giorni dall’uscita in Italia de Il caso Malaussène, ultimo romanzo della fortunata saga di Daniel Pennac, un invito, per chi non l’avesse ancora fatto, a recuperare dall’inizio la storia di questo straordinario personaggio.

Il paradiso degli orchi (Au bonheur des ogres, 1985), arrivato in Italia nel 1991, è il primo romanzo di Pennac che ha come protagonista Benjamin Malaussène, un angelo del focolare diafano e coglione diventato capro espiatorio di un mondo alla rovescia che rispecchia la nostra assurda realtà semplicemente impazzita.

Un onesto fratello di famiglia che si prende cura di una combriccola davvero sui generis, diventa l’unico degno testimone di un omicidio programmato, anima santa che si immola accettando persino di fare da bersaglio a un folle bombarolo.

Il Grande Magazzino in cui Malaussène lavora, tempio della fede materialista del commercio nel domani fruttuoso, è profanato da una setta di orchi gaudenti e omicidi, una di quelle proliferate durante la seconda guerra mondiale, seguaci di una mistica dell’istante e che rifiutano codici morali e ideologie.

Malaussène finisce per diventare, suo malgrado, un principio esplicativo, la causa misteriosa ma evidente di qualsiasi evento inspiegabile.

Benjamin è uno di quei personaggi che si amano al primo istante, un poeta della nostra modernità che sa guardare la realtà con una rara capacità d’osservazione e di giudizio.

La sua singolare curiosità e fantasia, il suo malinconico amore per la vita, lo rendono capace di commuoversi (anche a comando) alla vista della luce del giorno che filtra attraverso grappoli multicolori di palloncini che si innalzano sulla folla metropolitana del Grande Magazzino contro la vetrata smerigliata.

Ma Malaussène sa guardare le cose allo stesso tempo con incanto e disincanto, è dotato di esperienza, saggezza, umorismo e di un giusto distacco.

È un uomo dalla straordinaria sensibilità e sensualità, che ascolta la voce femminile che si diffonde dall’altoparlante del Grande Magazzino leggera e piena di promesse come un abito da sposa, che ha una inaspettata relazione con la bellissima zia Julia, oltre che con il suo adorato e puzzolente cane epilettico Julius.

È un uomo che sa vedere il cuore delle persone e amarle per quello che sono, adorandone tutte le diversità, che perde e riacquista l’udito più volte a causa delle esplosioni a cui assiste nel Grande Magazzino, affinando l’attenzione all’ascolto così come allo sguardo.

In una Parigi multietnica popolata di strampalati personaggi tratteggiati appena ma tutti subito perfettamente riconoscibili, di una meravigliosa umanità a contrasto con una società consumistica e indifferente presto abituatasi perfino agli attentati, dove il cane epilettico sembra essere passato tra le mani di un impagliatore pazzo, umorismo, sensibilità, movimento, ironia e rapidità di tocco descrittivo sono gli elementi che arricchiscono una bella scrittura che sa emozionare.

Ed è proprio l’umanità l’eccezionale dote di Malaussène e della sua atipica famiglia, in un mondo che non sembra più concepito per l’essere umano.

Per Benjamin l’umanità è l’unità di misura delle persone:

Deve avere da qualche parte un cuore che lo intralcia  […] e si scioglie, povero diavolo, come si è sempre sciolto, per eccesso di umanità.

Ci siamo, ho capito cosa non quadra in lei. Era una creatura sensibile un tempo, la Regina Zabo, una ragazzina che soffriva dei mali dell’intera umanità. Un’adolescente tormentata o qualcosa del genere. Enigmatica portatrice del dolore di esistere. Quando il tormento è diventato un calvario, e dopo innumerevoli esitazioni, è andata a bussare alla porta dello strizzacervelli alla moda. Quello, l’Ascoltatore, ha subito capito che era la troppa umanità a disturbare quella bambina vispa, e pazientemente, lettino dopo lettino, gliel’ha estirpata fino all’ultima radice, e al suo posto ha piantato il sociale. Ecco cos’è, la Regina Zabo. Un’analisi riuscita: quando mangia, solo la testa ne trae profitto. Il resto non segue. Ne ho incontrati altri, si somigliano tutti.

Il paradiso degli orchi è divertente, appassionante, commuovente, mai banale e il suo surreale microcosmo ci fa ridere e riflettere.

È impossibile non affezionarsi alla sua variopinta e stralunata umanità, splendida rappresentazione di quell’immenso caos che è la vita.

Dal romanzo di Pennac Il paradiso degli orchi è stato tratto un film nel 2013 diretto da Nicolas Bary.