Divergent – dopo Hunger Games la distopia di Veronica Roth

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Nelle sale cinematografiche italiane è arrivato Divergent (qui c’è il trailer), di Neil Burger, il primo film tratto dall’omonima trilogia di Veronica Roth, che ha destato la curiosità di tutti quelli che si sono appassionati al ‘fenomeno’ Hunger Games, ai film di Gary Ross e Francis Lawrence tratti dai primi due romanzi di Suzanne Collins, a cui seguiranno due nuovi episodi a novembre 2014 e 2015, ricavati dal terzo e ultimo libro.

Il confronto pare inevitabile, a soli quattro mesi di distanza, non fosse altro per l’analogia del soggetto distopico destinato ad un pubblico young adult che ha come protagoniste due giovanissime intrepide eroine. Analoga l’operazione commerciale e mediatica che mira anche al rilancio dei libri, i più pubblicizzati al momento su tutti i siti di lettura e non solo.

La critica statunitense ha espresso in maniera quasi unanime la sua preferenza per Hunger Games, in alcuni casi liquidando Divergent, che risulta penalizzato per la semplice ragione di nascere alla sua ombra.

È vero che il film di Burger risente dell’atmosfera di quello di Lawrence, così come il libro della Roth ne risulta in parte ispirato. E il fatto che il film sia uscito quasi a ridosso di Hunger Games per cavalcarne l’onda del successo è un’operazione di marketing difficile da biasimare e che ad ogni modo continuerà a sfruttarne la visibilità visto che sempre a pochi mesi di distanza dai prossimi episodi di Hunger Games sono previste le uscite anche dei successivi capitoli di Divergent.

Tra l’altro è proprio di questi giorni l’annuncio che il terzo e ultimo libro della Roth, Allegiant sarà prodotto in due film proprio come Mockingjay, l’ultimo capitolo di Hunger Games.

Ma senza forzare un confronto che risulterebbe un po’ fine a se stesso e ammettendo le scontate analogie, dovute più che altro al genere distopico, è interessante valutare, come già osservato per Hunger Games, quanto ci sia di buono in questo genere di film e di libri per un universo giovanile e non solo. E la storia presenta anche qui degli elementi di valore se si va a guardare oltre la superficie di un prodotto ben confezionato.

Parliamo quindi innanzitutto del libro.

Divergent è dunque il primo capitolo della trilogia scritta dalla giovanissima Veronica Roth, autrice statunitense, a soli 23 anni, pubblicato nel 2011 negli Stati Uniti dove ha venduto milioni di copie, e nel marzo 2012 in Italia da De Agostini.

Beatrice Prior ha sedici anni e non si conosce. Ma non come tutti gli adolescenti. A lei è permesso guardarsi nello specchio di casa solo una volta ogni tre mesi, quando la madre le taglia i capelli.

Lo specchio è il primo oggetto che incontriamo in questa storia, e Beatrice osserva un riflesso che le è estraneo, e ogni volta che si scorge nei palazzi di vetro e acciaio della sua città non si riconosce. Fugge anche gli sguardi per non vedersi e per non essere vista, e anche quando si cerca nel riflesso del suo orologio da polso, l’unico ornamento consentito agli Abneganti, Beatrice sa che deve ancora trovarsi.

Fino a quando non diventerà Tris, una Divergente.

‘Guardarmi ora non è come vedermi per la prima volta, è come vedere qualcun altro per la prima volta. Beatrice era una ragazza che intravedevo nello specchio in momenti rubati, che stava in silenzio a tavola durante la cena. Questa è una persona i cui occhi attirano i miei e non li lasciano più andare. Questa è Tris’.

Un romanzo distopico ambientato in un futuro prossimo nella Chicago in cui oggi vive l’autrice ma che nel libro ha saputo ritrovare la pace dopo una lunga guerra, costruendo una società ordinata i cui abitanti sono divisi in fazioni secondo la propria indole dominante, coraggiosa, altruista, gentile, onesta o sapiente.

Il giorno della scelta, compiuti i sedici anni, i giovani sono chiamati a indicare la fazione nella quale vorrebbero trascorrere il resto della loro vita, che può corrispondere o meno a quella d’origine. I cosiddetti transfazione, scegliendo una nuova fazione sono costretti a lasciarsi alle spalle il passato e a dire addio ai propri familiari.

Tutti i ragazzi sono sottoposti ad un test psicoattitudinale, il cui risultato può guidarli nella propria scelta che resta comunque libera.

È una società utopica che rispetta e asseconda la natura dei propri abitanti o una tirannia che esercita una forma di controllo velata da una apparente libertà? In quella che potrebbe sembrare quasi una società perfetta, tutto funziona perché tutti sanno qual è il loro posto.

Tutti tranne i Divergenti.

Per alcuni soggetti il risultato del test è inconcludente. Non è possibile collocarli all’interno di una delle cinque fazioni, non sono né Abneganti né Candidi, né Intrepidi, Eruditi o Pacifici, o sono più ‘qualità’ insieme. Sono più forti mentalmente, non si lasciano condizionare e sviluppano forme autonome e imprevedibili di pensiero.

Per lo stato rappresentano una minaccia.

‘Ogni fazione condiziona i suoi membri a pensare e a agire in un certo modo. La maggior parte della persone si adegua. Per loro non è difficile imparare, acquisire uno schema di pensiero che funziona e attenersi a quello per sempre… noi [Divergenti] non possiamo essere confinati in un solo modo di pensare, e questo terrorizza chi detiene il comando. Significa che non possiamo essere controllati. Significa che qualunque cosa facciano, noi creeremo sempre problemi’.

Le tradizioni delle fazioni guidano i comportamenti dei membri sostituendosi ai gusti personali, e ogni fazione ha le sue regole da rispettare. La prima legge universale è ‘la fazione prima del sangue’, l’individualità deve essere sacrificata in nome del bene comune e l’unico modo per conservare la pace è soggiogare il popolo.

‘La pace è controllo. Questa è la libertà’.

Nella società distopica immaginata da Veronica Roth la vita è fatta di obblighi, o in alternativa si può scegliere di vivere da Esclusi, come quelli che sono stati cacciati dalla società perché non sono riusciti a completare l’iniziazione della fazione che hanno scelto, e che vivono soli, emarginati, separati dalla comunità, senza uno scopo e una ragione.

Beatrice sa di non appartenere alla fazione in cui è nata, quella degli Abneganti. Guarda come una straniera la vita della sua famiglia, la ammira ma non la sente propria. Non riesce ad adeguarsi alle sue regole, che sembrano anche più restrittive e severe di quelle delle altre fazioni tanto da ricordare i precetti della fede cristiana (evocata anche dal rituale della lavanda dei piedi degli iniziati, dalla cena condivisa e servita, dal battesimo con cui da bambina la sua vita è stata offerta a Dio).

Beatrice guarda agli Intrepidi che sembrano giovani, affascinanti teppisti, vestono di nero, hanno piercing e tatuaggi, sono rumorosi, gridano e giocano a carte, mentre gli Abneganti sono silenziosi e devono dimenticarsi di se stessi, una massa indistinta vestita di grigio che si muove con ritmo uniforme come assorbita da una mente collettiva sempre proiettata verso l’esterno.

La scelta degli Intrepidi da parte di Beatrice risulta la più immediata per adolescenziale spirito di emulazione, non solo perché ne subisce il fascino, ma perché sente di essere già come loro, sente in lei una parte troppo importante di sé che gli Abneganti le avevano sempre chiesto di nascondere.

Beatrice soffre il distacco dalla sua famiglia che ama profondamente, ma non può rinunciare a se stessa. Decide di lasciarla e andare incontro all’ignoto, ma per ogni membro della famiglia da cui ha dovuto separarsi, un uccello in volo verso il suo cuore è tatuato sulla sua pelle.

Per essere accettata dalla nuova fazione Tris, scontrandosi con gli altri iniziati, dovrà affrontare una serie di prove simili ai livelli da superare in un videogame, fino a quelli che potremmo chiamare ‘Brain Games’, delle terribili sfide virtuali realizzate a partire dalle fobie stimolate chimicamente nei partecipanti, che saranno per lei un momento di confronto, di crescita oltre che di scoperta dell’amicizia e dell’amore.

L’invenzione della Roth che segna il suo universo distopico, è l’idea del controllo della mente ottenuto chimicamente, che sarà usato anche come sistema di manipolazione per formare un esercito di soldati incoscienti comandati a distanza dai malvagi Eruditi che, convinti di essere nel giusto perché più colti degli altri, vogliono conquistare il potere.

La Roth fa l’errore, che si può concedere comunque all’inesperienza (è pur sempre il primo romanzo di una giovane ventitreenne), di trattare in modo troppo elementare e schematico le idee di fondo che sono interessanti. Alcuni ragionamenti di Beatrice sono un po’ forzati e contraddittori e le sue emozioni non così bene indagate come avrebbero dovuto essere, anche nei momenti tragici non è esplorato abbastanza l’animo della protagonista e le sue reazioni sono o troppo scontate o troppo superficiali.

Per fare un riferimento ad Hunger Games, anche i romanzi della Collins hanno delle lacune e qualche volta risolvono in modo frettoloso alcune situazioni, ma sanno emozionare. La più grande differenza tra le due protagoniste dei romanzi è che Beatrice non ha il senso di umanità di Katniss che pur tra mille dubbi e paure si preoccupava soprattutto di proteggere gli altri, mentre Beatrix dall’inizio alla fine della storia cerca solo se stessa.

Non è certo un crimine non essere poi così altruisti o in alcune situazioni esserlo più di quanto ci si aspetti, fa parte dell’essere umani, e la bellezza e l’utilità di questa storia è nel percorso di crescita della protagonista che trova la forza di diventare adulta e di essere se stessa, affrontando le sue paure e scoprendo il valore della sua unicità.

Resta il peso di una tendenza moraleggiante che somiglia molto ad una forma di bigottismo religioso di cui al momento Tris non è ancora riuscita a liberarsi del tutto, ma confidiamo nei prossimi capitoli.