Il valore di una storia arrivata al cinema: il film La ragazza di fuoco

hunger-games---la-ragazza-di-fuoco_288[1]Dopo lo straordinario successo al cinema di Hunger Games: Catching Fire negli Stati Uniti, La ragazza di fuoco ha scatenato anche in Italia un caso mediatico e in molti hanno subito pensato di trovarsi dinanzi allo sfruttamento commerciale di una saga come tante altre.

È fin troppo facile schierarsi contro quella che può apparire l’ennesima storia creata appositamente per un universo giovane e facile all’idolatria. Ma anche se così fosse, gli Hunger Games, i film come i libri, hanno un proprio valore e dovrebbero farci riflettere su quelle semplici ma fertili idee che possono trasmettere ai giovani e non solo.

La guerra vissuta con gli occhi di una ragazza che non ne capisce il senso, la forza d’animo che i protagonisti sanno trovare pur tra tanti dubbi e paure, il coraggio di combattere contro un potere crudele e totalitario, la lealtà, la fiducia e l’amore che lega chi ha deciso di schierarsi contro quel potere, l’aiuto reciproco che sanno darsi, la sincerità dei sentimenti, la fratellanza che riunisce un popolo oppresso, dovrebbero aiutarci a ritrovare anche un po’ della nostra umanità. E chi dice che una storia per ragazzi non possa emozionare anche un pubblico adulto? Avere un profondo valore, o persino qualcosa di vagamente somigliante ad un’etica?

La trilogia di Suzanne Collins non ha nulla di morboso ed è certo più impegnata dei libri per ragazzi che hanno avuto molta fortuna al cinema negli ultimi anni. L’autrice non biasima soltanto la società dello spettacolo di un futuro neanche poi tanto remoto, che esercita controllo e potere su un popolo sottomesso da una combinazione di forze armate e videocrazia, ma soprattutto sottrae ogni alibi e pretesa innocenza alla nostra identità di spettatori e finiamo per sentirci in qualche modo compartecipi, direttamente chiamati in causa.

Come il primo, anche il secondo film, La ragazza di fuoco, non è certo un capolavoro, ma per i temi trattati, vale certamente la pena vederlo, così come vale la pena leggere il libro. Tra l’altro se un film che dura quasi due ore e mezzo dà la sensazione che ne siano trascorsi molti di meno, sicuramente è ben raccontato, soprattutto quando, nonostante le imperfezioni, vorremmo che continuasse ancora. Il talento di Suzanne Collins che prima di scrivere Hunger Games è stata anche sceneggiatrice per il cinema si vede meglio in questo secondo film che è più strutturato del primo.

Rispettoso del libro, La ragazza di fuoco è un buon capitolo di passaggio costruito per essere ‘una parte’, arricchisce la storia, costruisce le basi e crea attesa per i successivi episodi che saranno al cinema a novembre 2014 e 2015, e se non è semplicissimo ricostruire l’accaduto per chi non ha visto il primo film o letto il libro, il problema è facilmente risolvibile, e resta tale soltanto per chi è interessato a Catching Fire e non a Hunger Games.

Francis Lawrence, subentrato a Gary Ross nella regia, riesce a dare più forza emotiva al film prestando maggiore attenzione alla storia, alle relazioni tra i protagonisti, ai dialoghi che ci consentono di approfondire le caratteristiche psicologiche dei personaggi che sono cresciuti nei loro ruoli e sono più saldi. Il film diventa così più appassionante e coinvolgente per la sua maggiore complessità e potenza narrativa, visiva ed emotiva. Katniss si sta trasformando in un’eroina più consapevole ed è più profondamente reale. I molti primi piani della protagonista Jennifer Lawrence enfatizzano tutte le emozioni impresse sul suo volto e nei suoi occhi. Anche Josh Hutcherson e Liam Hemsworth (rispettivamente nei ruoli di Peeta e Gale) migliorano, e splendide sono le interpretazioni di Jena Malone e Sam Caflin, due nuovi affascinanti tributi.

Anche Woody Harrelson (il prezioso mentore Haymich), Elizabeth Banks (la straordinaria Effie), Lenny Kravitz (l’amato stilista Cinna), Stanley Tucci (il raggiante Caesar Flickerman, presentatore televisivo dei giochi) e Donald Sutherland (il terribile presidente Snow), sono più convincenti.

Il modo in cui Effie acquisisce consapevolezza che Katniss e Peeta le saranno strappati via è davvero straziante. La scelta del presidente Snow di mandare agli Hunger Games i vincitori delle precedenti edizioni dei giochi allo scopo di uccidere nei distretti anche la speranza di cui i vincitori sono l’incarnazione, si rivela una mossa sbagliata per Capitol City perché a differenza dei soliti tributi sconosciuti al pubblico e considerati delle semplici pedine in gioco, i vincitori sono a loro familiari, vi sono affezionati e l’effetto dei giochi finisce per essere doloroso anche nella capitale come lo è nei distretti che non avrebbero mai voluto vedere morire delle persone care. Gli Hunger Games diventano per tutti una tragedia e la rivolta dilaga… ma questo ci sarà raccontato nei prossimi episodi.

Le musiche, esclusivamente strumentali, scelta comune ai due film, ottenute dalla collaborazione tra i Coldplay e James Newton Howard, riescono ad aggiungere drammaticità alle immagini e ad arricchire la forza visiva del film.

Una perdita rispetto al primo film è nella vividezza delle immagini. Un’opacità e una nebbia che in alcuni momenti somiglia quasi ad una sfocatura, non disegna bene la profondità dei paesaggi che appaiono meno nitidi e brillanti, né gli oggetti in primo piano di cui si perde il dettaglio. L’arena, così come la palestra in cui si allenano i tributi, fanno un brusco passo indietro in quanto a progresso tecnologico, come in un vecchio videogames, e ne risentono anche gli effetti speciali che erano più accurati nel primo film e più futuristici.

Manca la luce fredda e un po’ metallica del film di Gary Ross che accentuava il contrasto cromatico tra la sfavillante Capitol City, sfarzosa capitale nello stile Antico Impero di Las Vegas, dagli eccentrici abitanti così riccamente abbigliati e vistosamente truccati, e i toni quasi monocromi e terrosi dei distretti di Panem. Le tinte sottotono, più calde e un po’ invecchiate del film di Lawrence segnano un passaggio dalla fantascienza alla realtà, dal futuro remoto del XXI secolo al seicentesco naturalismo barocco, che su un piano estetico è la differenza più lampante tra i due film, ed è solo una questione di gusti.

Molte le scene ben riuscite, come quella del treno che attraversa i distretti per il tour della vittoria e i ragazzi scoprono sui muri graffiti con il simbolo della ghiandaia imitatrice, primo segno che la rivolta è nell’aria; o quella in cui Katniss e Peeta parlano con sincera commozione alle famiglie dei tributi morti del distretto 11 che emoziona più del libro. Durante la festa dei vincitori a Capitol City, il presidente Snow guarda Katniss scuotendo la testa in segno di disapprovazione e il calice del brindisi si tinge dei riflessi rossi dei fuochi d’artificio, inquietante anticipazione dello spargimento di sangue che seguirà non soltanto gli Hunger Games.

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